Rod Superstar
La voce calda di un uomo grande e buono.
Fine anni ’70. Un americano molto speciale. In una città che non conosce e, di rimando, non conosce lui. Tanto coraggio e una palla da basket. Tenuta in mano come nessun altro fino ad allora a Forlì avesse mai visto.
“Mah, coraggio no(sorride). Ero a Denver senza alcuna prospettiva. Mi chiama il mio agente e mi dice che c’era questa possibilità. Tra l’altro in Italia c’ero già stato in estate, quando con la squadra della mia università giocammo contro la nazionale azzurra e quella di altri paesi stranieri. Conoscevo molto bene Maurizio Gherardini che ha auspicato il mio arrivo a Forlì. E così dopo le delusioni provate sono venuto a giocare in Italia.
“Si può dire Rod che tu in Italia abbia trovato “l’America”?”
“Ah, sicuro. Ho trovato tanti amici e formato la mia famiglia. I genitori di colei che sarebbe poi diventata mia moglie mi hanno accolto come un figlio. Come poi del resto i suoi fratelli. Sono stato davvero fortunato”.
“E Forlì sportivamente parlando, ha finito per identificarsi in te. Il Villa Romiti come casa di irripetibili racconti da parquet e una palla da basket che assume traiettorie mai viste sotto canestro in città. Com’era allora giocare per la nostra gente?”
“È indubbio, che un giocatore per esprimere al meglio il proprio talento abbia bisogno di condizioni ambientali certamente favorevoli. Bisogna sentirsi a proprio agio, oppure se hai tutti contro dimostrasi più forte di tutte le avversità intorno a noi. Sia mentalmente che fisicamente cerchi di tirare fuori il meglio da te stesso. Non sempre succede, ma spesso accade. Ciò che rispecchia l’atleta nella sua natura competitiva. A Forlì mi hanno sempre sostenuto, anche in momenti in cui non è che giocassi benissimo. Ancora ricordo i cori provenienti dagli spalti. Mi davano una carica enorme, come vedere il Villa Romiti sempre stracolmo di pubblico. Un’atmosfera fantastica dove sentivi il dovere di non voler deludere nessuno. Forlì nel bene e nel male. Soprattutto perché se i tifosi non fossero stati contenti te lo avrebbero detto apertamente (sorride ancora). Bellissimo. Per questo sto molto bene in questa città”.
“Il basket a Forlì ha sempre rappresentato tantissimo”.
“Questo è vero”.
“Quindi un’emozione fortissima. Stagione ’81-‘82. Forlì in testa al campionato di A1 dopo otto giornate. I giornali titolano “Forlì capitale del basket”.” Ma per un punto si retrocede in A2, nello spareggio salvezza con Trieste. “Avevamo fatto un precampionato davvero tosto lavorando tantissimo, prendendo tutti di sorpresa. Poi, per una serie di tanti piccoli episodi perdemmo sei - sette partite per meno di tre punti. Qualche infortunio di troppo e tanta, tantissima sfortuna. Come giocatori imparammo a non dare mai nulla per scontato. Soprattutto quando le cose non girano per il verso giusto. Tanto che poi, tornammo subito in A1.”
“Allora ti mancava ancora l’NBA?”
“Sarei un folle se ti dicessi che non avrei voluto giocare in NBA. Ma non avrei mai conosciuto tante persone che mi hanno reso felice qui, a cominciare da mia moglie. Alla fine va benissimo così.”
“Il tuo presente oggi a Forlì?”
“Alleno le ragazze dell’A.I.C.S., U19 e serie C. Facciamo doppio campionato.”
“Soddisfazioni?”
“Coi giovani ce ne sono sempre tante, nel vederli crescere ed essere stato parte del loro percorso educativo. Lo è ancora di più quando i miei ex giocatori e giocatrici mi ringraziano, per aver fatto qualcosa di positivo per le loro vite. La più grande gratificazione che possa esistere per me. La stessa cosa che provo adesso, nel veder crescere le giocatrici della mia attuale squadra come atlete e come persone. Bellissimo.”
“Com’è cambiato il basket in 40 anni?”
“Una volta si giocava sui 30 sec. Serviva molta più precisione e c’era tantissima tattica, cosa in cui il mio coach a Forlì Ezio Cardaioli era un vero maestro. Ora coi 24 sec. il gioco è molto più veloce con tanto tiro da tre. Al mio tempo il “pick and roll” si usava davvero poco, ma quando si usava c’erano dei “blocchi” davvero imponenti. Quando Meneghin te ne faceva uno su palla di D’Antoni era davvero un “blocco”. Nell’odierna pallacanestro fischierebbero fallo in attacco. Adesso si gioca molto di più sulle linee esterne del campo, senza più pivot sotto canestro che faccia il punto. Il basket è cambiato e io rimango della vecchia guardia. Ciò non vuol dire che io non apprezzi come si giochi oggi.”
“Compagni di squadra rimasti nel cuore?”
“Tanti. Vorrei non dimenticare nessuno. Hackett, Solfrizzi, Del Seno, Abbondanza. Cordella, un magnifico play che sapeva sempre dove mettermi la palla. Bastava che mi girassi e la trovavo sempre lì. E poi il povero David Lawrence. Un anno insieme a Cremona ma era come se lo conoscessi da sempre. Ricordo che lo chiamavo al telefono (almeno due volte a settimana) per farmi spiegare alcune cose di cucina, perché tra l’altro era anche un grande cuoco.”
La risata di Rod, dice tutto della sua umanità e del suo grandissimo cuore. Grazie di tutto e alla
prossima.
Superstar.
Foto Fabio Casadei
Emiliano Tozzi
lunedì 6 marzo 2023