Sipario dell’italianità: è finita l'era di Silvio Berlusconi
All’età di 86 anni, è morto l'ex premier Silvio Berlusconi, il più osannato, odiato e chiacchierato patriota italiano
Come si inaugura un nuovo inizio?
Bella domanda.
Non è facile parlare di lui, tantomeno riassumerlo in poche righe.
Ma partiamo con ordine.
Sono le 9.30, è il 12 giugno 2023 e l’Italia, guardandosi allo specchio, apprende di non essere più la stessa del giorno precedente.
Silvio Berlusconi, all’età di 86 anni, è morto all’ospedale San Raffaele di Milano che già nelle settimane precedenti lo aveva accolto per l’ennesimo ricovero, questa volta durato ben 45 giorni.
Il Cavaliere, alle prese con una leucemia mielomonocitica, ha scelto di rinunciare all’ultimo ballo: forse per pietà di se stesso, magari sinceramente esausto o, romanzandola, per calarsi nello spaccato più fragile e sincero di questo Paese.
Perché diciamocelo: Berlusconi, volente o nolente, è l’italiano per antonomasia tra i volti mai partoriti dal tricolore. Dunque parrebbe sciocco non tesserne la lode politica, imprenditoriale, sportiva e legata al costume della nostra terra, oramai orfana della personalità che più spesso ne ha giustificato i tratti opinabili con paterno affetto.
Eppure, definendo questa icona, pare insistere il fragoroso timore dell’esaltazione.
Me ne sono accorto nella mattinata di ieri, tra la consultazione di un articolo formale e qualche tweet di becero gusto proposto dal pubblico social-popolare.
La verità è che Silvio ha affascinato a tal punto da spaventare.
E la narrazione gretta di molti colleghi, in questo senso, ha giocato un ruolo chiave.
I continui cambi di rotta dei mass-media infatti, che hanno sprecato definizioni per l’eroe/antieroe dei nostri tempi, sono stati portavoce della destabilizzazione percettiva di un agglomerato già vulnerabile, alla ricerca di pace ma supporter della tempesta.
Nel bel mezzo del caos è quindi nato Berlusconi.
O meglio, il suo mito, che nel 1994 ha rimescolato le carte di una scena politica elitaria e ruffiana, accozzata al futile tecnicismo in virtù della santificata supervisione sistemica e destinata a crollare dinnanzi lo storico passaggio alla seconda repubblica.
Da questa rottura, la genesi di Forza Italia, prima tra le compagini della storia a legittimare l’allure lombardo e le popstar al potere, attrattive e catalizzatrici e mai in voga come nell’era di Sua Emittenza.
Sì, proprio lui, il fondatore del palcoscenico presenzialista di Fininvest.
La stessa azienda che ne giustificherà la discesa in politica, proclamata il 26 gennaio 1994 attraverso un videomessaggio di 9 minuti.
"L'Italia è il Paese che amo”, dirà nel lungo monologo diffuso dai telegiornali delle sue reti televisive.
Questo amore, il Cav, lo ha spartito anche con il Milan, acquistato nel 1986 e che aveva collezionato, dal 1899 fino ad allora, solamente 20 trofei.
Inutile sottolineare come nei 30 anni seguenti, con il patrocinio dell’uomo di Arcore, i titoli del club meneghino sarebbero diventati 49, portando i rossoneri alla definizione di “Club più titolato al Mondo”.
Roba da pazzi, da pochi eletti.
Forse è proprio questo a rendere così riecheggiante la sua dipartita: Silvio, agli occhi di tutti, pareva invincibile, immortale, esorcista della vecchiaia.
Capace pure dei miracoli, alle volte.
Un esempio? Pratica di Mare, Pomezia.
Era il 28 maggio 2002 quando Berlusconi organizzò un vertice Nato con i suoi 19 rappresentanti, ai quali si aggiunse, per la prima volta, lo storico amico Vladimir Vladimirovič Putin.
Qui, la firma congiunta della cosiddetta Dichiarazione di Roma, volta a costruire una pace duratura e inclusiva nell’area euro-atlantica e che poneva -di fatto- fine all’ultra-cinquantenaria Guerra Fredda.
Ricordate la stretta di mano tra il leader russo e George W. Bush?
Impossibile scordarla, a proposito di scenari capaci di ridurre l’onirico a fatto realmente accaduto e dimensionare un individuo generazionale, unico e visceralmente legato al potere persuasivo della risata.
Perché anche in quell’occasione, il Dottore scelse di ridere, tuffandosi nelle fauci dei fotografi e ponendo le sue due mani su quelle degli acerrimi rivali politici, per uno scatto già destinato ad entrare nell’immaginario collettivo.
Lo stesso che oggi dovrebbe celebrare il patriottismo berlusconiano, tale anche e soprattutto con il calare inesorabile del sipario; per l’occasione, dipinto di verde, bianco e rosso.
Foto acquistata : Shutterstock
Mattia Siboni
lunedì 12 giugno 2023