I riti e le tradizioni del periodo pasquale
Il ritiro nelle chiese del ramoscello di ulivo benedetto in occasione della Domenica delle Palme è uno dei primi riti del periodo pasquale. Il rametto va collocato in vista (solitamente fissato a un quadro della Madonna o di un altro soggetto religioso) per propiziarsi effetti positivi (salute, lavoro, raccolti, ecc) per tutta l'annata.
L'ulivo, che è uno dei simboli della Pasqua, compare in molti racconti biblici, è tra il becco della colomba che ritornò da Noè dopo il diluvio universale; è nell'Orto dei Getsemani dove Gesù si recò a pregare la notte del suo arresto; ramoscelli di ulivo erano tra le mani della folla festante che osannava Gesù al momento del suo ingresso nella città di Gerusalemme, pochi giorni prima che fosse crocefisso.
La tradizione vuole che, una volta usciti dalla chiesa con l'ulivo benedetto, per quante sono le foglie del ramoscello, si devono recitare altrettanti "Padre nostro", per ottenere la grazia del Signore. Un tempo in occasione della Domenica dalle Palme le mamme portavano in chiesa per la prima volta i neonati per la tradizionale benedizione.
Ancora oggi molti sono coloro che rammentano due proverbi dialettali che ricordano l'inevitabilità della pioggia nel corso della Domenica delle Palme o in quella di Pasqua: "S'un s'bagna la Pêlma, us'bagna agl'ôv" (Se non piove la domenica delle Palme, si bagnano le uova, cioè piove il giorno di Pasqua); "Se piôv int la Pêlma, un piôv int agl'ôv" (Se piove la domenica delle Palme, non piove il giorno di Pasqua).
Come ricordano Radames Garoia e Nivalda Raffoni, cultori delle tradizioni romagnole: "Alle 10:00 del mattino del Giovedì Santo, in segno di lutto per la morte di Gesù, si legavano tutte le campane delle chiese. Un tempo, nei nostri paesi, il sacrestano o un ragazzo del paese andavano in giro di strada in strada scuotendo uno strano oggetto di legno e di ferro, chiamato 'scarabatla' (carabattola) che, col rumore causato dal suo ritmico agitare, avvertiva i fedeli dell'inizio delle funzioni religiose. In alternativa si usava un campanaccio, oppure un altro strumento di legno chiamato 'raganella'. In campagna, sempre in questa giornata, i contadini legavano gli alberi, ritenendo che così facendo diventassero più fruttiferi, mentre nelle chiese tutti i Crocifissi venivano coperti con un drappo, dal giovedì sera al sabato, quando le campane venivano liberate.
In questo giorno, molti credenti iniziavano il rito della 'trapasêda' (trapassata). In segno di penitenza ed in memoria della Passione di Gesù Cristo cessavano di mangiare nel momento in cui venivano legate le campane il giovedì ed osservavano un digiuno naturale fino alla slegatura delle stesse al sabato".
Nella tradizione popolare molte erano le usanze e le superstizioni legate al Venerdì Santo. Le pratiche religiose erano scrupolosamente osservate dai giovani e dagli anziani. In questo giorno tutti evitavano di mangiare carne e in moltissimi osservavano il digiuno. Al mattino, molte donne erano solite recarsi in Chiesa davanti all'immagine della Madonna e recitare un'orazione per ben 33 volte.
Si credeva che tagliarsi i capelli in questo giorno causava forti dolori alla testa e pertanto durante l'arco della giornata del Venerdì Santo non ci si pettinava neppure per evitare di attirarsi la disgrazia. Così come durante la Settimana Santa (dalle Palme a Pasqua) non si faceva il bucato ed era esplicito il divieto di far bollire i panni nei giorni in cui il Signore è morto.
L'uovo deposto dalla gallina in questo giorno, era di per sé benedetto e veniva usato per fare i cappelletti, o altra pasta, il giorno di Pasqua.
Nel corso della serata del Venerdì Santo era in programma la processione religiosa col Cristo morto (col Crocefisso) che assumeva particolari caratteri di solennità e di mistero ed era molto partecipata. Verso mezzogiorno del giorno successivo si slegavano le campane e, mentre risuonavano nell'aria gli scampanii pasquali, i ragazzi sparavano mortaretti in segno di gioia. Era giunto anche il momento per le donne di lavarsi gli occhi con la nuova acqua benedetta, avendo evitato di farlo nel periodo di fermo delle campane, perché secondo la tradizione non si potevano lavare gli occhi, in base al proverbio "Intant che al campan j ha lighè, i tu occ no ti lavè" (Finchè le campane sono legate, non ti lavare gli occhi). Al suono delle campane, i contadini scioglievano i tronchi degli alberi dalle corde con le quali li avevano legati al giovedì.
"La mattina di Pasqua tutta la famiglia assisteva alla messa rigorosamente a digiuno", ricordano ancora Radames Garoia e Nivalda Raffoni, e solo al ritorno a casa si faceva colazione: una fetta di ciambella, o pagnotta pasquale, con un uovo sodo. I guscio dell'uovo non si buttava e veniva sparso nei campi a protezione delle messi nell'approssimarsi di un violento temporale, oppure si dava da mangiare alle galline o si spargeva sotto una siepe adiacente alla propria abitazione. Per preparare la pasta del pranzo di Pasqua, l'azdora (la reggitrice) usava le uova che le galline avevano deposto il Venerdì Santo".Infine occorre sottolineare che la consuetudine di regalare uova è antichissima e si fa risalire al fatto che la Pasqua coincide con l'inizio della primavera, originariamente celebrata con riti per la fecondità ed il rinnovamento della natura.
Ai nostri tempi si regalano uova di cioccolato. Se poi è frutto di una donazione responsabile ad una delle tante associazioni benefiche, che in questi giorni le propongono, è ancora meglio.
Gabriele Zelli
venerdì 11 aprile 2025