I parchi di Forli'
PARCO URBANO “FRANCO AGOSTO
Il grande parco cittadino, realizzato su progetto dell'architetto comunale Elves Sbaragli e inaugurato nel 1994 dall'allora sindaco Sauro Sedioli (1940), è dedicato ad un altro primo cittadino Agosto (nome) Franco (cognome), colui che fu il primo sindaco della città liberata dalle truppe nazifasciste il 9 novembre 1944.
L'area verde, divenuta subito meta dei Forlivesi nel tempo libero, occupa ventisette ettari di terreno nelle zone attigue al Canale di Ravaldino e al fiume Montone, tra i viali dell’Appennino e Salinatore, vicino alla Rocca di Ravaldino e a poche centinaia di metri da Piazza Saffi.
Come viene riportato nel volume "Forlì. Guida alla città" di Marco Viroli e Gabriele Zelli, Diogene Books editore, nel 1929, lo scrittore e giornalista Antonio Beltramelli (1879 - 1930), nella sua raccolta di racconti ambientati a Forlì dal titolo Vecchia Provincia, così le descriveva: «… lungo la viottola della Fornace Malta, fermarsi al bello e grande macero che pareva un lago e poi correr giù verso i greti del fiume Rabbi: là dove c’era tanto orizzonte e tanto respiro. Si vedevano le carreggiate dei barocci che scendevano a caricar la ghiaia; si vedevano azzurri specchi d’acqua per la vasta distesa e poi, avvicinandosi, certi pesciolini, che sembravano trastulli, guizzar via come il fulmine».
Oggi, questo immenso spazio, unico nel suo genere in Italia, sorge su un'ampia area golenale a ridosso della congiunzione dei fiumi Rabbi e Montone, ove un tempo si trovava la fornace Malta&Benvenuti, che fu costruita nel 1826, per la realizzazione di mattoni e tegole, e che via via si estese su un'area di 60.000 metri quadrati da cui si estraeva materiale di ottimo livello tanto che non aveva necessità di particolari ulteriori lavorazioni. Ai margini dell'attività molto probabilmente si svolse un tratto della Trafila Garibaldina in quanto dovrebbero essere passati, nella notte fra il 15 e il 16 agosto 1849, Giuseppe Garibaldi e il Maggiore Leggero, in fuga dopo la soppressione della Repubblica Romana, accompagnati da tre contrabbandieri capeggiati da Giovanni Maltoni, detto "Gnarata", nel tentativo, poi riuscito, di sottrarsi alle ricerche dell'esercito austriaco per poi guadare il fiume, dove tutt'ora è possibile farlo, per proseguire lungo l'argine sinistro del fiume per superare il confine fra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana.
Intorno al 1880 Vincenzo Malta modernizzò la fornace, adottando i forni Hoffmann, un impianto per produrre laterizi formato da due gallerie affiancate. Esse, divise in quattro zone (di carico/scarico, di preriscaldo, di cottura, di raffreddamento), erano affiancate e chiuse senza però escludere il passaggio dei gas dall'una all'altra. Nel 1920 i proprietari apportarono ulteriori miglioramenti e la fornace si arricchì di nuovi impianti e moderni macchinari. Nel 1925, secondo il volume "Monografia Industriale di Forlì", edito dal Comune nel 1926, nella fornace la produzione era passata da 3 milioni e mezzo di pezzi all' anno a 6 milioni e gli addetti erano passati da 140 a 220 anche grazie alle ulteriori attività che si svilupparono, come la lavorazione delle calci, il cui materiale veniva estratto dalle cave di Castrocaro, la realizzazione di manufatti di cemento e la lavorazione della ceramica commerciale. Cessò la sua attività tra gli anni 50 e 60, per poi chiudere definitivamente nel 1971.
La fornace oggi versa in condizioni di evidente degrado, fa eccezione il forno Hoffmann che nel 2006 è stato oggetto di lavori di messa in sicurezza, su progetto dell'architetto Gabrio Furani.
Si deve a una radicata e ricca presenza di fornaci se "il cittadone" è stato denominato anche "La città di mattoni", con una tradizione in questo settore che, come scrive Umberto Pasqui su ForliToday, "affonda le radici nell'etrusca (?) Ficline, città dei vasai, come forse dalla misteriosa gente italica era chiamata Forlì prima di essere Forlì. Uscendo da fasi oscure della storia, è documentato che più o meno a metà dell'attuale Parco Urbano si estendeva già nel Duecento un convento di camaldolesi, forse una delle tappe dei pellegrini che dal mare si recavano a Camaldoli. Non doveva essere una pieve di campagna di scarsa importanza, continua Pasqui, se, anche nell'Ottocento, l'attuale via Caterina Sforza era detta “dei Camaldolesi”. Le ultime tracce del luogo di culto, già in rovina nel Cinquecento, risalgono al 1791, quando ciò che ne rimaneva (una chiesina) dopo un effimero restauro fu cancellata negli anni successivi". Permase solo, dunque, un vasto terreno di pertinenza conventuale sulla cui area sorse appunto, nel 1826, la fornace.
Da allora, la città di mattoni si è dimenticata della fabbrica che li produceva che ha avuto, se non altro, il merito di plasmare il Parco Urbano e di fornire laterizi per le case forlivesi. Salvo qualche ipotesi di recupero e restauro dai costi elevatissimi (una stima per la realizzazione di un "Museo del territorio" che risale alla fine degli anni '80 ammontava a oltre due miliardi di lire). Eppure la Fornace non merita la totale sparizione perché la sua storia è davvero lunga e importante per la città di Forlì. Senza di essa, anche il paesaggio, da quelle parti, sarebbe radicalmente diverso. "Dalle mappe del catasto napoleonico, è ancora Pasqui che scrive", si nota un terreno tendenzialmente pianeggiante e soggetto a frequenti alluvioni (non erano presenti argini); la parte verso il ponte vecchio sul Rabbi, fu venduto dai camaldolesi a Gaetano Pasqui (antenato di Umberto ndr) per diventare sede di sperimentazioni agricole (arachidi, luppolo, barbabietole da zucchero) e di una fabbrica di birra. La parte verso la città, invece, è ciò che ora è frequentato come Parco Urbano e molti ignorano che i saliscendi non sono naturali, ma frutto di un continuo lavoro della terra per alimentare quell'impianto di cottura ora nascosto da una transenna e dalla vegetazione".
Le aree che attualmente compongono il parco e molte altre che fanno parte della progettazione, furono acquisite dal Comune di Forlì a partire dal 1983. L’acquisizione più corposa fu effettuata tramite una transazione, determinata da una lunga trattativa che si sviluppò negli anni 1988/1989 per far cessare un contenzioso fra l'Amministrazione Comunale, allora rappresentata dall'assessore Gabriele Zelli, da Massimo Gentili, dirigente dell'Ufficio Patrimonio, e da Alessandro La Forgia, dirigente dell'Ufficio Affari Generali, e la ditta Nuova Salca, l’ultima azienda che gestì l’antica fornace Maceri Malta nella produzione di elementi in cotto. La trattativa per giungere ad una conclusione bonaria della vicenda era dettata dalla necessità per superare il blocco dell'atto di esproprio decretato dal Tribunale di Forlì in seguito al ricorso contro l'atto coercitivo, emanato dal Comune, della controparte. La Nuova Salca aveva impugnato la delibera del Consiglio Comunale che prevedeva l'acquisizione dell'area in base alla Legge Bucalossi (Legge 10 del 1977 in materia urbanistica) che nel frattempo era stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale per la parte che riguardava la disciplina degli espropri. Con tale legge lo Stato aveva stabilito che per la realizzazione delle opere pubbliche l'eventuale acquisizione del terreno necessario, se agricolo, doveva essere valutato ai prezzi di mercato di aree simili. Dal momento dell'approvazione dell'atto legislativo in tutt'Italia coloro che erano soggetti ad espropri fecero ricorso sostenendo che i terreni agricoli dovevano essere valutati comunque secondo una potenzialità edificatoria da determinare in base ai prezzi delle aree edificabili limitrofe. Questo per il Comune di Forlì determinò un esborso di oltre due miliardi di lire, praticamente quattro/cinque volte in più di quanto stimato originariamente. Ma l'opera aveva priorità e il sindaco Giorgio Zanniboni (1935 - 2011) sollecitò più volte la conclusione della trattativa. In questo modo oltre al terreno, il Comune acquisì anche alcuni fabbricati. Tra questi vi è la casa colonica che oggi, adeguatamente ristrutturata, è la Collina dei Conigli, molto conosciuta e apprezzata dai giovani. E la stessa fornace con gli immobili accessori destinati all’attività, di cui si è già detto. Anche gli edifici ex Salca oggi non ristrutturati fanno parte del progetto originario, come ne fanno parte alcuni terreni a ridosso dell’argine destinati alla piantumazione di alberi per l’iniziativa denominata “Un albero per ogni nato”. "È auspicabile che l’Amministrazione comunale, scrive lo storico Marino Mambelli su "Forlìpedia", possa al più presto proporre alla città e ai suoi visitatori un nuovo stralcio di avanzamento di un’opera, già splendida, che potrebbe ancor più identificare Forlì come città regina romagnola del verde".
Il parco è dotato di numerosi ingressi, i principali dei quali sono quelli di via Fiume Montone e di viale dell'Appennino. È separata dal fiume da un sentiero che conduce da Porta Schiavonia sino quasi all’Ospedale “Morgagni-Pierantoni” a Vecchiazzano. La sua superficie si presenta come un enorme tappeto erboso (180.000 metri quadrati seminati a prato, più 10.000 metri quadrati di prato spontaneo), ove trovano posto oltre 2.000 alberi e circa 10.000 arbusti. A fianco del caseggiato adibito a pub, si trova un maestoso esemplare di giuggiolo centenario.
Tutta la zona è densamente popolata da una ricca fauna. Molto pittoresche sono le “colline dei conigli”, le montagnole piene di tane scavate dai simpatici roditori che qui vivono a centinaia.
Da segnalare lo straordinario anello naturalistico ciclo-pedonale, lungo ben 12 chilometri, immerso nel verde dell’argine fluviale che, partendo da Porta Schiavonia e costeggiando il parco giunge a Castrocaro attraverso la selva di Ladino, la briglia del canale del mulino, Villa Rovere e Terra del Sole.
L’area coperta dal parco è molto ampia, diversificata in colline, piccoli canali artificiali, ponti, un laghetto, attrezzature per bambini e per lo sport. È dotata di ampi parcheggi gratuiti ed essendo molto vasto è visitabile anche con un trenino turistico. Al suo interno ospita un bar, un ristorante, il chiosco della piadina, il pub, giochi per i bambini e impianti sportivi. Nel corso dell'anno viene utilizzato come scenario per diverse manifestazioni.
Nei pressi dell’entrata di via Fausto Andrelini si trova una fontana monumentale a forma di piramide, opera dello scultore Quinto Ghermandi, realizzata da Romagna Acque per ricordare la realizzazione della diga di Ridracoli e dell' acquedotto di Romagna. Altre opere d’arte custodite all’interno del parco sono La famiglia di Glauco Fiorini (1941 - 1994) e Scacchiera di Carmen Silvestroni (1937 - 1997), donate alla città di Forlì, rispettivamente nel 1999 e nel 2002, dall’Associazione “Glauco Fiorini” di cui è presidente Gabriele Zelli. Anche Irene Ugolini Zoli, indimenticata artista forlivese, volle lasciare un graffito, tuttora ben conservato, sulla facciata di un muro attiguo al ristorante posto sulla collina centrale che domina il parco. Sempre all'interno è possibile ammirare il monumento a ricordo delle Madri e Vedove dei Caduti e Dispersi in guerra dello scultore cesenate Leonardo Lucchi, voluto dal Comitato Provinciale di Forli-Cesena e Rimini dell'Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti e Dispersi in Guerra, collocato nel 2007, e Recisione, opera dello scultore forlivese Antonio Giosa, donata al Comune nel 2003 dall' Unione Nazionale Mutilati e Invalidi per Servizio - Sezione Provinciale di Forlì- Cesena.
Accedendovi da viale dell’Appennino, al centro della rotatoria posta di fronte all’entrata è collocato un busto bronzeo di Sandro Pertini, socialista, partigiano e Presidente della Repubblica, realizzato dall’artista forlivese Ivo Gensini.
Foto Fabio Casadei
Redazione Diogene
venerdì 19 luglio 2019