Da Forlì a San Siro:
Il sogno romagnolo di Marco Piccinini.
C’è qualcosa che accomuna arbitri e radiocronisti. Entrambi usano i loro occhi e la loro esperienza per fare il proprio lavoro: decidere e raccontare una partita. Dentro lo stadio; in campo gli uni, in tribuna gli altri. Non sul divano di casa o in uno studio televisivo con 24 telecamere e decine di replay. Decidono e raccontano in tempo reale, cercando di capire e rischiando di sbagliare.
Riccardo Cucchi, in una sua vecchia intervista, credo abbia riassunto con gentilezza la grande responsabilità degli operatori sportivi: vessati, amati e mai preda dell’indifferenza. Quella del direttore di gara, nella fattispecie, è una faticaccia incommensurabile, resa tale dall’amore - a volte cieco - del tifoso, dalle grida dei protagonisti o più in generale, dall’impulsività umana. Vestire perennemente i panni del capro espiatorio non dev’essere cosa piacevole. Al contempo, credo garantisca una profonda conoscenza di sé, dei propri limiti e di quelle risorse spesso abbandonate ai meandri della nostra coscienza. A questo proposito, abbiamo il piacere, oggi, di offrirvi una bella chiacchierata con Marco Piccinini, 41enne forlivese che ha fatto del fischietto il proprio migliore amico. Partito ormai 20 anni fa, ha costruito una carriera luminosa ponendo dal principio solide basi umane e professionali, che l’hanno portato dai campi degli esordienti a quelli dei più importanti stadi di Serie A. Mettiamoci comodi, dunque. Sta per iniziare un intenso viaggio alla scoperta di un impiego fin troppo sottovalutato.
Marco, grazie per essere qui con noi oggi. Partiamo dall’inizio: ricordi la prima volta in cui hai sognato di arbitrare i grandi palcoscenici italiani? Se ti va, raccontami quel momento nel quale, da bambino o ragazzo, hai fantasticato tra le vie della tua Forlì.
Grazie a voi per l’opportunità: è bello poter raccontare a tutti qualcosa in più sulla mia professione. Diciamo che il mio avvicinamento al mondo arbitrale è stato atipico… lo testimonia il fatto che fino ai 18 anni ho praticato nuoto agonistico, vivendo intere giornate e weekend dentro le piscine. Ciò nonostante, ho sempre avuto un orecchio alla radio per ascoltare “Tutto il Calcio Minuto per Minuto”. Il pallone era già parte della mia vita, pur non avendo mai giocato a calcio per paura di farmi male. Ricordo con grande affetto quando mio nonno, da piccolo, mi portava allo stadio Morgagni a vedere il Forlì, innescando una passione mai tramontata. Tornando alla domanda iniziale, devi sapere che tutto è nato per caso. Un giorno, camminando per la città, vidi il volantino di un corso arbitrale a Forlì e provai a cimentarmici tra l’indifferenza dei miei genitori. Da quel momento ebbe inizio un’avventura capace di portarmi in tantissimi stadi di periferia, poi in tutti quelli della Serie A.
La Romagna è terra di grandi tradizioni sportive. Credi che la territorialità abbia giocato un ruolo chiave nella tua formazione umana e professionale?
Beh, sicuramente noi romagnoli abbiamo un carattere forte… basti pensare a cosa è successo un anno e mezzo fa con l’alluvione. Nonostante la situazione disastrosa, già dal giorno dopo ci siamo messi all’opera per ricostruire e ripartire al più presto. Questo spirito mi accompagna anche quando sbaglio in campo (per esempio, con un rigore o con un cartellino giallo che doveva essere rosso) così come nei giorni a seguire. C’è subito la voglia di comprendere l’errore per poi ripartire, arbitrare e crescere.
Qual è stata la prima partita arbitrata? Riesaminarla oggi deve fare un certo effetto…
La prima partita che ho arbitrato è stata al Buscherini nel lontano febbraio del 2004, categoria esordienti. Non ho in mente il nome delle squadre, ma limpido è il ricordo di aver fischiato solo 4 volte: il calcio d’inizio, la fine del primo tempo, l’inizio del secondo tempo e il termine del match. Immagina di essere in mezzo al campo, vedere il fallo, portare il fischietto alla bocca, soffiarci dentro ed indicare una direzione… lo ammetto: non è stato facile fin da subito.
C’è un momento nel quale hai pensato di abbandonare il sogno? La scalata deve essere stata lunga, faticosa e ricca di insidie. Oltretutto, la tua occupazione da ingegnere edile non deve aver facilitato questa rincorsa. O sbaglio?
Ovviamente, in una carriera lunga 20 anni, ci sono stati tantissimi momenti belli ma altrettanti duri, che spesso mi hanno fatto pensare: ma chi me lo ha fatto fare? Ciò nonostante ho tenuto sempre duro, soprattutto grazie alla mia famiglia (mia moglie in primis), ai ragazzi giovani ma anche ai “senatori” della mia sezione arbitri di Forlì, che con i giusti consigli mi hanno permesso di scalare una montagna impressionante. Il lavoro da ingegnere l’ho mantenuto facendo tanti sacrifici, fino a quando sono approdato in Serie A e B. A quel punto, è risultato doveroso scegliere se inseguire quella professione o il mio sogno da bambino.
Facciamo un salto in avanti: Serie A, 2017, il tuo esordio tra i grandi. Come hai vissuto quel momento e cosa hai pensato varcando il terreno di gioco?
La prima volta non si scorda mai. Il mio esordio fu in Atalanta-Crotone, durante un mercoledì di settembre. A Bergamo, a quei tempi, l’ingresso sul terreno di gioco era praticamente sotto la curva degli ultras nerazzurri. C’era un lungo sotto-passaggio e poi 4 o 5 scalini che accompagnavano al campo. L’ingresso me lo sono goduto in pieno, guardandomi attorno, ascoltando i cori dei tifosi e ripercorrendo tutte le fatiche che avevo fatto prima di essere lì, proprio quella sera. Poi, una volta fischiato l’inizio della partita, ho pensato solo a fare il meglio possibile: non volevo rovinare per nessun motivo quella serata magica!
Hai arbitrato in alcuni tra gli stadi più importanti d’Italia e affrontato situazioni complesse. A questo proposito, quali sono le sfide maggiori che hai incontrato? Da fuori è difficile immedesimarsi…
Sì, è vero: ho arbitrato a San Siro, allo Juventus Stadium, all’Olimpico, al Maradona e pure a Marassi. Le sfide, così come le domande, sono state molteplici e spaziano dal come rapportarsi con calciatori e allenatori più affermati di me al costante aumento della velocità del pallone, che ha come conseguenza un minor tempo per prendere qualsiasi decisione. Qui, per esempio, il mio background ingegneristico mi ha aiutato parecchio. E’ altrettanto importante e complicato cercare sempre un ottimo angolo di visuale, così da utilizzare tutti gli elementi disponibili e raggiungere una scelta corretta.
Raccontami la partita più emozionante che hai diretto e il momento che, dal tuo punto di vista, l’ha resa tale.
Finale Play-Off di ritorno, Serie C. Si sfidavano Foggia e Pisa, questione di vita o di morte per le due squadre che si giocavano il passaggio di categoria in Serie B. Sulla panchina del Pisa sedeva Gennaro Gattuso, mentre in quella foggiana Roberto De Zerbi. Dopo un quarto d’ora del secondo tempo, i tifosi del Foggia, con il lancio di una bottiglietta d’acqua, colpirono alla nuca Gennaro Gattuso , che cadde rovinosamente a terra. Da questo momento in poi, ci furono 20 minuti di sospensione della gara, dato anche il centinaio di tifosi in campo con poliziotti in tenuta antisommossa a contenerli. Diciamo che ho dovuto lavorare lucidamente con questore e addetto alla sicurezza dello stadio per cercare di riportare la calma e fare in mondo che la partita potesse terminare come da programma. Per fortuna, tutto si sistemò e “portai a casa” il match.
Nel corso degli anni, il ruolo dell’arbitro è cambiato notevolmente, soprattutto con l’introduzione della tecnologia. Come hai vissuto queste evoluzioni e quale impatto hanno avuto sulla tua carriera?
Guarda, quando ho iniziato ad arbitrare in prima categoria ero solo, per poi essere supportato dagli assistenti, a seguire dal quarto uomo (un arbitro come me che sta in mezzo alle due panchine per aiutarmi), dagli addizionali di porta (altri due arbitri vicini alle porte che garantiscono quattro occhi in più) fino all’avvento della tecnologia del VAR. La domanda che mi faccio costantemente è la medesima: perché non è arrivato prima il VAR? Mi avrebbe risparmiato tante notti insonni ripensando agli errori commessi. Poter contare su una tecnologia che in pochi secondi ti permette di resettare, cancellare l’errore e ripartire come se nulla fosse, è davvero una fortuna.
Concedimi un salto nella quotidianità. Come viene percepito il tuo ruolo di arbitro a casa, tra amici e conoscenti?
In casa mia non si parla di calcio… a mia moglie non piace e questo mi aiuta a staccare la mente. Gli amici, al contrario, mi chiedono tanti aneddoti sui loro idoli, ma è normale che sia così. In giro per Forlì invece, essendo una piccola realtà, capita spesso che le persone mi riconoscano. Con loro c’è sempre un clima di rispetto, il che mi fa piacere.
Nonostante il tuo lavoro eccellente sia stato sempre riconosciuto da tifosi, giocatori e addetti ai lavori, la figura del direttore di gara è spesso utilizzata come capro espiatorio. Come gestisci le critiche? Hanno mai pesato sul tuo umore?
Sinceramente ho imparato a conviverci. All’inizio è stato difficoltoso; ora invece, grazie all’esperienza archiviata, riesco a gestirle con più serenità. Non ti nascondo che la critica risulta sempre dura da accettare, nonostante faccia parte del mio lavoro.
Pensando al futuro, cosa vedi per te nel mondo del calcio? Ci sono obiettivi che vorresti ancora raggiungere?
Più che dire cosa vedo, dico cosa spero! Mi piacerebbe continuare ancora per parecchi anni a calcare i campi più importanti d’Italia. Poi, una volta messo il fischietto al chiodo, vorrei restare all’interno dell’universo calcistico… tuttavia, non so dirti cosa mi riserverà il futuro. Lo scopriremo strada facendo.
Guardandomi attorno e immaginando i nostri lettori, so per certo di intercettare un giovane arbitro che sogna di seguire le tue orme. Forte dell’esperienza maturata, che consigli sentiresti di offrire al Marco del passato?
Bella domanda! Essere arbitro ha la capacità di formare il carattere in maniera importante. Pensa, per esempio, ad un ragazzo di 16 anni che deve gestire 22 persone più grandi di lui, i componenti delle panchine, cercare di non sentire il pubblico sugli spalti, organizzare le trasferte e allenare la capacità decisionale. Tutti questi aspetti difficilmente si trovano in altri sport. Quindi, se avessi davanti un giovane volenteroso, gli consiglierei di buttarsi in questo mondo. Si fa attività fisica, si cresce umanamente, si ha la possibilità di entrare gratis allo stadio e di ricevere un rimborso spese. Tentare può valerne la pena e perché no, un hobby può tramutarsi in lavoro come nel mio caso.
Grazie per essere stato con noi. Se lo gradisci, puoi lanciare un saluto ai tuoi concittadini!
Certamente! Vorrei fare un grosso in bocca al lupo a tutti noi forlivesi e romagnoli. Come detto in precedenza, siamo un popolo forte, carismatico e sempre con il sorriso sulle labbra. Questo, niente e nessuno potrà mai togliercelo. Vi abbraccio forte e mi raccomando: ogni tanto, oltre alla vostra squadra del cuore, fate il tifo anche per quei ragazzi che hanno il fischietto in bocca e i cartellini tra le mani.
Foto Premazione: Studio Frasca
Foto in campo: Fabio Casadei
Mattia Siboni
venerdì 20 settembre 2024