Nome in codice Ferrari F80
No. Non è certo la morbidezza dei suoi 1200 cavalli a saltare all’occhio dello spettatore distratto. Quelli saranno il benefit dei 799 proprietari che hanno già acquistato l’ultima nata di Maranello alla modica somma di tre milioni e seicentomila euro. Già tutte vendute prima ancora che la vettura fosse presentata ufficialmente alle recenti Finali Mondiali di Imola.
E allora, cosa colpisce alla vista di questa nuova creatura Rossa?
Beh, certamente le forme sapientemente fuse tra linee curve e diritte. Tra richiami al recente passato dell’automobile e un possibile rimando al futuro e allo spazio. Da astronave a quattro ruote sul filo dell’asfalto. E quei 1200 cavalli che continuano a essere l’inequivocabile pedigree dello stesso V6 (l’F163) che equipaggia nel Mondiale Endurance la 499P e la 296GT3, come da tempo (forse) la pista ha smesso di raccontare in quel fondamentale travaso tecnologico in cui una soluzione provata e studiata in circuito, finiva per diventare il simbolo di distinzione dei fortunati proprietari delle berlinette Ferrari di domani.
Linee dritte e curve.
La rottura della sensualità in virtù di più nuovi ed esclusivi valori estetici. Quando il passaruota diventa frammento di una curva ellittica tronca, fermata da due rette parallele rivolte verso l’asfalto che non s’incontreranno mai. Una rivoluzione di stile. Come fu per la Countàch di Gandini o l’Alfa Romeo SZ di Opron. Lo scibile del design nel concetto di una nuova linea per supercar.
Vedere (e concretizzare), ciò che altri ancora non posso o riescono a vedere, emozionando col medesimo stupore oggi come allora. Non un semplice esercizio apocalittico per pochi eletti, ma il concetto più profondo di conoscere tutto il possibile per proporre una nuova forma. Cercando di non riproporre nemmeno se stessi. Se mai nel mondo dell’automobile, qualcosa rimarrà sempre a imperitura memoria di quel famoso e inconfondibile “made in Italy”, risiede in ragioni come questa, in grado rendere una vettura qualcosa in più di un semplice oggetto semovente. Le ragioni per cui un motore e una macchina sono più spesso di quanto si creda il sinonimo di una libertà espressiva la cui più importante peculiarità risiede nella capacità di comunicare, animare e trasmettere al mondo intero la propria unica personalità (come in questo caso) attraverso una vettura. Come un cavallo (e non…un cavallino) da portare al galoppo. Viva. Come il fiato equino di un purosangue dopo una corsa estenuante ad andatura impossibile.
Per quanti contenuti la tecnologia possa illustrare e metterci a disposizione, intrattenere i nostri sensi rimane comunque la magia primordiale che da millenni continua a compiersi. Da quel primo segno rupestre lasciato dentro le caverne dei nostri antenati.
Chiamatela sensibilità se volete.
Ma una macchina non può e non deve essere solo bella. Deve essere in grado di trasmettere un insieme di valori, magari racchiusi ( come stavolta) in appena quattro metri e ottanta per due di larghezza, quale paradigma di un nome (Ferrari) portatore di valori unici e inimitabili.
Si fa presto a dire così. Ma una macchina deve saperlo naturalmente comunicare a ogni metro che percorra. Nome in codice Ferrari F80.
Il resto, una poesia da comprendere e rendere propria.
Per il futuro delle quattro ruote.
Foto Fabio Casadei
Emiliano Tozzi
mercoledì 6 novembre 2024